martedì 12 novembre 2013

Una notte oscura

Vi scrivo qui un brevissimo racconto, ispirato da una mia vecchia esperienza... ed un umile, umilissimo omaggio a H.P. Lovecraft.
Perché cari miei, quando una nuova notte inizia, non si sa mai quanto potrà essere oscura.


Quella notte, un dolore fortissimo allo stomaco, un bruciore lancinante che mi toglieva il respiro, mi portò al pronto soccorso.
Erano le 11.10 e nella sala di attesa, pervasa da un avvilente odore di disinfettante, vidi di sfuggita solo alcune persone che ciondolavano stancamente sulle sedie cigolanti.
Un volontario dell’ambulanza mi scortò fino ad un saletta pallida, spingendo stancamente la sedia a rotelle su cui mi avevano scaricato.
Poco dopo arrivò un infermiere dall’aria sbattuta, mi chiese nome e cognome, età, indirizzo e causa della mia inaspettata visita all’ospedale, mi infilò una flebo nel braccio, e mi trascinò lungo un corridoio fino ad un’altra saletta, dove di lì a poco, mi borbottò, sarebbe arrivata una dottoressa a visitarmi.
Davanti a me avevo una parete di cartongesso, sudicia e ricoperta di schizzi di caffè e altre sostanze ignote, che avevano un aspetto a dir poco disgustoso. Più in alto, sulla mia destra, un grande orologio, faceva ruotare ipnoticamente la sua lancetta dei secondi.
Il tempo passava, la mia flebo lentamente si esauriva, il mio sedere iniziava a dar segni di fastidio a causa dell’insopportabile scomodità della sedia a rotelle, e della dottoressa non si vedeva neanche l’ombra.
Poco distante da me venne portata una donna su una lettiga.
Gemeva penosamente, si lamentava, gridava a tratti come una forsennata, lamentando dolori atroci alla schiena, ma i medici la lasciarono ai suoi guai e si dileguarono, parlottando tra loro di un “codice rosso”. Per me e la povera signora fu oblio.
Dopo alcune interminabili ore passate a rigirarsi sulla sedia, i miei occhi si appesantirono, le palpebre divennero di piombo e senza neanche accorgermene, sicuramente senza alcuna voglia, mi addormentai.
Non sognai niente, ma il lato oscuro del mio cervello, annichilito dalla stanchezza, mi ottenebrò i sensi.
Fu solo un breve attimo di catalessi.
Quando riaprii gli occhi vidi che non erano passati neanche trenta minuti dall'ultima volta che avevo dato una sbirciata malevola all'orologio.
Non ero per niente riposato, anzi ero più stanco e prostrato di prima, benché il dolore allo stomaco fosse quasi scomparso.
In compenso, in quel lasso di tempo le luci vicino a me si erano spente, e rimaneva soltanto una tenue luce giallognola e malata che illuminava una parte distante del corridoio.
Stufo di aspettare, logorato dalla snervante attesa interminabile, decisi di alzarmi.
Staccai la flebo, ormai vuota, dal braccio e mi alzai.
Una fitta lancinante alle gambe, ormai totalmente intorpidite dalla scomoda posizione in cui ero rimasto, mi fecero barcollare un attimo.
Lentamente, passo dopo passo, mi incamminai nel corridoio scansando barelle, lettini e sedie a rotelle, abbandonate al loro destino. Della signora che gemeva non c’era più traccia. La situazione era al limite dell’assurdo, sembrava che tutto l’ospedale fosse stato evacuato in fretta e furia.
Non riuscivo più a trovare la strada che avevo percorso prima, ma continuai a girovagare in quell'ambiente assurdo, perché mentre venivo scarrozzato sulla sedia a rotelle avevo notato la porta di una toilette ed avevo urgente bisogno di farci un salto.


Finalmente riuscii a trovarla e con un sospiro di sollievo vi entrai.
Rimasi con la bocca aperta non appena accesi la luce.
Un sacca di sangue stracciata era per terra, in un lago rosso vermiglio che si allargava sul pavimento bianco del bagno, tra impronte di scarpe e un ciuffo di capelli biondi.
Una serie di tracce di sangue correva anche lungo la parete, e sottolineava con acuto terrore una scritta assurda ma pienamente leggibile: 
CTHULHU
Con un moto di repulsione scattai all'indietro, trattenendo a stento un conato.
La nottata, da assurda e penosa stava scivolando pericolosamente sul macabro.
A quel punto mi convinsi  definitivamente che qualcosa non andava: di infermieri in giro non se ne vedevano, della fantomatica dottoressa che avrebbe dovuto visitarmi non avevo visto neanche l’ombra.
Mi sentivo meglio, seppur non ancora in piena forma, così, tra il frustrato e lo scioccato mi diressi verso lo sportello di accettazione per cercare di ottenere spiegazioni.
Camminai un po’ alla cieca, cercando di ricordare la direzione giusta da prendere, ma mi confondevo facilmente, tra porte scorrevoli elettriche che non si aprivano, vicoli ciechi e stanze disseminate di barelle, e misteriosamente deserte.
Caddi preda ad una frustrazione nera, che mi assalì i nervi già stremati dalla lunga notte di dolore e attesa.
Un giramento di testa mi costrinse a sedermi per un attimo su una barella, lungo un corridoio fiocamente illuminato da una luce di emergenza, quando sentii una serie di grida spaventose riecheggiare non lontano da me.
Nonostante le urla mi avessero spaventato mi diressi in quella direzione, attratto dall'idea di trovare compagnia, forse nell'assurda ipotesi che colei che stava gridando fosse sufficientemente lucida da poter scambiare due parole con me.
Mi rendo conto oggi che il mio cervello non connetteva molto bene.
Seguii l’eco delle urla sempre più smorzate, lungo le corsie tenebrose e deserte fino a ritrovarmi di fronte ad una porta blu socchiusa.
Entrai silenziosamente, come se inconsciamente temessi di vedere ciò che c’era aldilà.
Steso per terra, un uomo seminudo, affondava le mani nel ventre  della donna che si lagnava dei suoi dolori alla schiena, portandosi alla bocca manciate di budella, intestini e pezzi sanguinolenti di carne.
Con orrore incommensurabile vidi gli occhi vacui della povera signora che lentamente si spegnevano, e quell'immagine mi tortura ancora oggi ogni volta che chiudo gli occhi.
Forse gridai, forse feci rumore sbattendo contro la porta alle mie spalle, quel che è certo è che quell'uomo immondo, mi vide e strillando come un ossesso frasi senza senso si alzò e mi corse incontro. Da qui in avanti i ricordi si fanno confusi.
So solo che scivolando sul sangue uscii di corsa dalla stanza, senza neanche la forza di gridare aiuto, terrorizzato e scioccato da quella blasfema visione.
Per uno strano scherzo del destino, fuggendo all'impazzata  questa volta riuscii a trovare la strada che portava alla reception del pronto soccorso.
Lì mi vennero incontro due guardie giurate con la pistola in pugno e un infermiera con il camice sporco di sangue. 
Mi dissero qualcosa, mentre io balbettavo, borbottavo, con gli occhi sbarrati e incapace di spiegare ciò che mi aveva terrorizzato.
Così mi costrinsero a sdraiarmi su una barella e mi riempirono di sedativi. Poi fu oblio per un infinito, oscuro viaggio che si concluse solo diverse ore più tardi, quando ormai era metà pomeriggio.
Di ciò che successe quella notte non ho più saputo niente. I giornali hanno parlato di un omicidio misterioso in ospedale, ma presto tutto è stato fatto tacere.
Io però non scorderò mai quel folle carnefice che gridava: 

Le stelle si sono allineate! Mio signore torna tra noi!

Cthulhu!
Cthulhu!



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